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Gioia Tauro, Operazione Mediterraneo cosca Molè chiuse le indagini per 48 persone

I sostituti procuratori della Dda di Reggio Calabria, Roberto Di Palma e Matteo Centini, hanno chiuso le indagini nei confronti di 48 persone ritenute organiche alla potente cosca Molè di Gioia Tauro o comunque gravitanti attorno al sodalizio criminale. Si tratta di persone coinvolte nell’indagine “Mediterraneo” con cui, nel giugno scorso, i Carabinieri colpiranno duramente uno dei casati storici della ‘ndrangheta reggina.

L’avviso di conclusioni indagini è stato notificato a: Antonio Albanese, Carmelina Albanese, Cosimo Amato, Khayi Ayoub Baba , Vincenzo Bagalà, Giuseppe Belfiore, Marino Belfiore, Antonio Bonasorta, Carmelo Bonfiglio, Giovanni Burzì, Claudio Celano, Fabio Cesari, Carmelo Cicciari, Gaetano Cicciari, Patrizio D’Angelo, Pietro Giovanni De Leo, Mirko Di Marco, Patrizio Fabi, Eugenio Ferramo, Arcangelo Furfaro, Enrico Galassi, Domenico Galati, Giuseppe Galluccio, Giuseppe Guardavalle, Girolamo Magnoli, Giuseppe Salvatore Mancuso, Domenico Mazzitelli, Ippolito Mazzitelli, Pietro Mesiani Mazzacuva, Valeria Mesiani Mazzacuva, Alessio Mocci, Francesco Modaffari, Massimo Modaffari, Antonio Molè “U Niru”, Antonio Molè”U Jancu”, Girolamo Molè, Annunziato Pavia, Fiorina Silvia Reitano, Vincenzo Ritrovato, Claudio Ruffa , Pasquale Saccà, Manolo Sammarco, Stefano Sammarco, Domenico Signoretta, Manuel Alesander Signoretta ,Carmelo Stanganelli classe 1969, Maria Teresa Tripodi e Ferdinando Vinci .

Associazione mafiosa, traffico di droga e di armi, intestazione fittizia di beni: c’è tutto il business dei Molè nell’operazione eseguita dal Ros dei Carabinieri che porterà all’arresto di 53 persone. Un business che la cosca avrebbe spostato soprattutto nel Lazio, dove sarebbe stata egemone nel settore delle slot machine.

Un’indagine che avrà il merito di ricostruire le strategie economiche della cosca Molè a partire dall’1 febbraio 2008, giorno in cui verrà freddato l’unico dei tre fratelli in libertà, Rocco.

Dopo l’uccisione di Rocco Molè, dunque, sarà proprio il capo storico del clan, Girolamo Molè (costante guida della famiglia), dal carcere di Secondigliano, a impartire gli ordini alla cosca: allontanarsi da Gioia Tauro verso Roma, rientrando in Calabria solo periodicamente.

Tutto per raccogliere le forze e reagire all’affronto subito.

L’indagine, dunque, ha svelato l’attività di narcotraffico del clan, attraverso la quale la cosca riusciva ad assicurarsi un regolare flusso di ingenti quantitativi di hashish e cocaina in entrata sulla Capitale, sfruttando tre direttrici di approvvigionamento e il ricorso a una strutturata rete di partecipi, sia italiani, che stranieri. Centinaia i chili di hashish e cocaina introdotti sul territorio nazionale: i Molè avrebbero operato anche a Roma e nel comprensorio di Civitavecchia.

Ma la cosca avrebbe trafficato anche armi: l’indagine “Mediterraneo” individuerà i canali di rifornimento utilizzati dal clan, in relazione al reperimento di armi lunghe e di silenziatori artigianali per pistola, realizzati da un artigiano di Gioia Tauro, che gli inquirenti definiscono “insospettabile”. Molteplici le conversazioni nell’ ambito delle quali veniva manifestata chiaramente la disponibilità di un vero e proprio arsenale, attraverso la detenzione di “fucili, mitragliette, pistole e silenziatori”.

Peraltro proprio il minore dei Molè avrebbe costituto parte attiva della compravendita delle armi che venivano acquistate in provincia di Vibo Valentia attraverso l’intermediazione di persone pure raggiunte dalla ordinanza di custodia cautelare. L’indagine, infatti, mostrerà anche i contatti con la potente cosca Mancuso, nativa di Limbadi, ma operante su tutto il territorio vibonese.

La progressione investigativa consentiva di “chiudere il cerchio” sui Molè e sulle attività di reinvestimento del denaro, soprattutto nella gestione di diversi esercizi pubblici/ sale da gioco tra Calabria e Lazio, nell’ambito della quale riuscivano – tra l’altro – ad acquisire una posizione importante nel delicato settore delle slot machines, imponendo l’installazione di decine di macchinette. Il lucroso business delle sale giochi vedeva infatti una sostanziale joint venture di più imprese.

Nel corso delle indagini, uno dei soggetti coinvolti nel blitz dei Carabinieri, Pietro Mesiani Mazzacuva, deciderà di collaborare con gli inquirenti. Il processo potrà quindi avvalersi anche delle sue dichiarazioni.

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