L’abbandono dei pazienti psichiatrici: una storia dello Stretto.

La sofferenza è un carico troppo pesante da portare sulle spalle da soli. La società – organizzata in istituzioni, gruppi, movimenti – può e deve servire a non lasciare sole le persone che vivono condizioni di disagio, qualunque ne sia l’origine.
Tuttavia, come ben sappiamo, ciò non accade quasi mai. Ancor più in questi tempi, in cui ogni questione di carattere sociale viene inquadrata in un registro repressivo o securitario, come ci ricorda il decreto Salvini.
Vogliamo raccontarvi brevemente di un ragazzo alle prese con gravi forme di disagio mentale, il quale durante il suo percorso di vita non ha trovato nessuno, salvo un gruppo di ragazzi agenti a titolo puramente volontario, capaci di prendersi carico della sua sofferenza e del suo destino, improvvisamente impossibilitato dal costruire un progetto esistenziale solido e rivolto al futuro.
Un ragazzo come tanti, che chiamiamo fittiziamente Antonio per rispettarne la privacy, senza una famiglia pronta a seguirlo nei dolori e nei patimenti. Un ragazzo con un’esperienza traumatica alle spalle, in un ospedale psichiatrico giudiziario, prima che questi istituti fossero chiusi per le condizioni di degrado appurate da varie indagini. Poi una fase di ‘normalità’, dopo ancora un’altra ricaduta ed infine un trattamento sanitario obbligatorio. Segue un altro periodo di apparente tranquillità: il lavoro, le relazioni sociali ordinarie, la consapevolezza di poter contare su qualcuno. Poi l’abisso.
È un itinerario che conosce bene chi ha un parente, un amico, un proprio caro alle prese con la sofferenza mentale: un percorso altalenante, in cui non ci si può mai concedere troppo ai sentimenti di fiducia o di speranza, perché da un momento all’altro sulla stabilità cala il sipario, e la scena è occupata dal tormento e dall’angoscia.
Quarant’anni fa, la rivoluzionaria legge Basaglia ha restituito umanità alla presa in carico psichiatrica, ma cosa resta oggi di quell’intuizione? Il nulla, specie dalle nostre parti. Già, perché le strutture convenzionate con l’ASP non consentono nemmeno l’accesso ai ricoveri e, quando un paziente viene ricoverato in ospedale, in reparto di psichiatria, accade che il personale medico non faccia altro che spingere ossessivamente per la dimissione del paziente, perché “mancano le risorse, i posti, ecc”.
Un film che conosciamo tutti molto bene.
Così Antonio, appena dimesso dall’ospedale di Reggio Calabria, solo, ha preso la nave traghetto per Messina. Arrivato a destinazione, non è sceso dalla nave: si è buttato giù, cadendo sulla banchina. Adesso è ricoverato al reparto psichiatria dell’ospedale Papardo.
Chissà cosa avrà pensato un attimo prima di compiere un gesto che avrebbe potuto costargli caro. Forse avrebbe solo avuto bisogno di un po’ più di attenzione, di un po’ più di cura da parte di un sistema sanitario impersonale, stritolato com’è da burocrazia, inadempienze e problematiche di ogni tipo, lontano dalle esigenze degli individui in carne ed ossa.
Cos’è lo Stato, cos’è la società, senza un’idea di comunità, in cui il bene comune è anche prendersi carico dei dolori e dei fardelli altrui, senza lasciare affogare nella disperazione chi non ha i mezzi per guadagnare da solo la riva?
È questa la sicurezza su cui dovrebbero riflettere coloro che al potere non fanno altro che alimentare le divisioni e l’odio sociale; una sicurezza che miri al godimenti dei diritti e delle libertà, al di fuori dell’orizzonte angusto della ‘caccia agli stranieri’, degli sgomberi, della banalità spacciata per ‘buon senso’. Una sicurezza che fonda tanto la felicità individuale quanto il benessere della collettività.
Entrambi, oggi, molto lontani dagli interessi della classe politica che ci governa.
 
Potere al Popolo! – Reggio Calabria
Centro Socio Culturale “Nuvola Rossa” – Villa S. Giovanni (RC)