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Blitz antimafia a Corleone, progettavano un attentato contro il ministro Alfano

Operazione antimafia tra i comuni di Corleone, Chiusa Sclafani e Contessa Entellina, a segno questa mattina nel Palermitano. L’operazione, che ha portato a sei fermi, è condotta dai carabinieri del Gruppo di Monreale, con l’aiuto di unità cinofile per la ricerca di armi e di un elicottero.

Secondo quanto trapela alcuni mafiosi arrestati dai carabinieri progettavano un attentato contro il ministro dell’Interno Angelino Alfano. “Dovrebbe fare la fine di Kennedy”, il presidente americano ucciso nel ’63. Alfano è ritenuto responsabile dell’inasprimento del 41bis. La circostanza emerge da un’intercettazione effettuata nell’inchiesta dell’Arma sul mandamento mafioso di Corleone.

L’inchiesta, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, ha svelato i nuovi assetti di Cosa nostra nel mandamento dei boss Riina e Provenzano. Le attività di indagine avrebbero scongiurato un omicidio già pianificato.

Le indagini hanno permesso di individuare il capo mandamento in Rosario Lo Bue, fratello di Calogero già condannato per il favoreggiamento di Bernardo Provenzano, nonché di ricostruire l’assetto del mandamento mafioso di Corleone (uno dei più estesi) ed in particolare delle famiglie mafiose operanti sul territorio dell’Alto Belice dei Comuni di Chiusa Sclafani e Contessa Entellina.

Nel corso delle indagini è stata documentata la caratura della figura di Lo Bue, capo assolutamente carismatico e fautore di una linea d’azione prudente, continuando così nella linea di comando lasciatagli da Bernardo Provenzano. Proprio questo suo modo di condurre le attività del mandamento ha creato non poche fibrillazioni in seno alla famiglia mafiosa di Corleone. In particolare, Antonino Di Marco, tratto in arresto a settembre 2014, da sempre ritenuto vicino alle posizioni tenute dall’altro storico boss corleonese Salvatore Riina, in più occasioni aveva modo di lamentarsi del modo con il quale Rosario Lo Bue gestisse gli affari dell’organizzazione.

Le indagini hanno, dunque, ribadito che ancora oggi sussistono all’interno della consorteria criminale due anime contrapposte, l’una moderata storicamente patrocinata da Bernardo Provenzanno e l’altra più oltranzista fedele a Salvatore Riina.

Inoltre è stata nuovamente acclarata la costante e rigida applicazione di una fondamentale ed inderogabile regola di cosa nostra, ovvero quella di garantire il sostentamento economico ai familiari degli affiliati detenuti, tra cui, in particolare, il capo indiscusso dell’associazione mafiosa, Salvatore Riina.