Orientamenti per una Politica dei trasporti efficace in Calabria

Domenico Gattuso, Movimento 10 Idee per la Calabria
Maggio 2019

Sono ormai quattro decenni che le politiche dei trasporti in Italia sono ispirate da un ceto politico incompetente o da lobby che manipolano politici sprovveduti o collusi. Politiche che hanno privilegiato grandi opere spesso ingiustificate, colate di cemento, squilibri incredibili sul territorio. E’ emblematica la vicenda di un ministro come Lupi che si faceva dettare l’agenda da un boiardo infiltrato nei gangli di potere dello Stato per coltivare interessi famelici di amici prenditori. Ma ricorderemo anche i Lunardi e i Delrio che hanno cavalcato logiche improntate all’iniquità sociale.
Non è un mistero che grandi gruppi pseudo-imprenditoriali fanno affari su due ambiti specifici: la costruzione di grandi opere costose (lobby del cemento) e la gestione di segmenti di mobilità redditizi (tipo autostrade in concessione a imprese come Benetton, azienda Alitalia affidata agli amici di turno, servizi traghetti a particolari operatori).
Le politiche liberiste, spacciate come innovative da ideologie promotrici di distorsioni di mercato, sostenute da forze e leader reazionari (come Thatcher, Reagan, Berlusconi per citarne alcuni) sono state devastanti. Hanno creato gravi disparità di trattamento fra territori, fra metropoli e provincia, fra componenti sociali, colpendo i più deboli e le regioni più povere, a vantaggio di minoranze e di grandi gruppi finanziari. Senza intaccare minimamente la perversa logica della mobilità centrata sull’uso dell’automobile, notoriamente divoratrice di risorse, produttrice di consumi energetici e inquinamento ambientale. La distribuzione delle risorse fra i diversi modi di trasporto privilegia da troppo tempo i mezzi privati motorizzati (80% auto e moto) a scapito delle ferrovie (5%), di servizi di trasporto pubblico urbano (10%), di servizi per la mobilità attiva; alla mobilità pedonale, ciclistica e delle persone con disabilità sono destinate briciole (2%). Nell’arco di una giornata, un qualunque cittadino si muove a piedi per gran parte del suo tempo; la vettura è una scatola di latta utilizzata poco e male, che occupa spazio e comporta costi rilevanti.
Si assiste a paradossi come corridoi ferroviari nazionali con 150 Frecce al giorno mentre milioni di pendolari vivono vessazioni quotidiane su treni e bus fatiscenti, autostrade costose scarsamente utilizzate come la pedemontana lombarda nel mentre la viabilità ordinaria è un colabrodo, sovvenzioni pubbliche a perdere per compagnie aeree private senza soddisfare la domanda reale.
Perché mai gli investimenti sono destinati in proporzione inversa all’utilità sociale? Si dà tanto per autostrade, alta velocità, trasporto aereo (spesso cedendo i profitti a gestori privati e premiando manager affaristi), pochissimo per trasporti pubblici, ferrovie ordinarie, mobilità dolce, territori periferici.
Negli ultimi 15 anni sono state investite risorse pubbliche considerevoli per ferrovie ad alta velocità su un corridoio privilegiato che collega le principali metropoli, trascurando i servizi di trasporto ferroviari sul resto del paese e abbandonando al degrado i servizi regionali e locali, in assoluta contraddizione con i dati di mobilità. I pendolari che si muovono quotidianamente in treno sono 3 milioni, i viaggiatori sulla lunga percorrenza 400 mila; se è vero che le risorse devono essere destinate in rapporto alla domanda di mobilità, basterebbe questo dato per affermare che sarebbe più equo indirizzarle primariamente sulle ferrovie regionali. La concezione dei corridoi forti non va bene, nel momento in cui essa si traduce in mancanza di reti diffuse e in effetto marginalizzazione per ampie fasce di territorio e di popolazioni.
Un altro evidente squilibrio nel sistema di trasporto nazionale è quello fra Nord e Sud. A parte la maggiore estesa di autostrade e viabilità di qualità, si rileva che: a fronte di 50 km di rete a doppio binario per 100 km di rete nel Nord, nel Sud se ne trovano 27; a fronte di frequenti collegamenti ferroviari tra regioni del Nord, quelli fra regioni del Sud sono rari e di scarsa qualità (ad esempio si ha una media di 12,3 Eurostar/giorno al Nord contro 1,7 al Sud; si può andare da Torino a Venezia in meno di tre ore, mentre è impossibile raggiungere Bari da Reggio Calabria in uno stesso giorno); a Nord si ha il TAV (meno di 3 ore sulla Milano-Roma), a Sud no e si è infierito tagliando anche i pochi treni a lunga percorrenza ed i treni notturni, costringendo la povera gente a viaggiare su pulman privati come polli in gabbia. Il salvataggio periodico di Alitalia, da quando è stata privatizzata, è costato 2,7 Miliardi € ai contribuenti compresi i cittadini meridionali, ma i servizi privilegiano sempre il Centro-Nord. Su 263 porti censiti, ben 178 si trovano nel Mezzogiorno contro 45 nel Nord, ma in termini di equipaggiamenti e risorse il rapporto è ribaltato ed il grosso degli investimenti continua ad essere indirizzato solo sulla parte più ricca del paese.
In barba ad ogni logica razionale di riequilibrio della spesa e coesione territoriale, il Sud continua ad essere visto come un peso, come un mercato di consumo, un serbatoio di manodopera, non come un’opportunità di crescita per l’intera nazione. Nel mentre la Germania ha favorito lo sviluppo del suo Sud, ovvero della ex Germania dell’Est, con investimenti straordinari, mirati ed equilibrati, al punto che ormai le dotazioni di infrastrutture e servizi sono omogenee con evidenti riflessi positivi sull’economia nazionale, in Italia il divario fra Nord e Sud si è drammaticamente ampliato, con evidenti riflessi negativi sull’intera nostra economia. E, purtroppo, persiste anche con l’attuale governo la tendenza alla disparità di trattamento: 80% degli investimenti sono destinati ad infrastrutture costose concentrate nel Nord del paese.
Non si può seguitare con la politica degli squilibri. Occorre affermare il diritto ad una mobilità sostenibile con una equa distribuzione delle risorse. Mobilità che non produca effetti negativi sull’ambiente, che non riverberi ricadute negative sulle future generazioni, che ponga al centro le persone e non i veicoli motorizzati privati. Occorre assumere una nuova visione del rapporto fra cittadini e territorio, della pianificazione territoriale, dell’assetto dei sistemi e delle tecnologie di trasporto, nuovi modelli culturali, l’affermazione di un principio di responsabilità collettiva al fine di limitare le esigenze private quando queste diventano prevaricatrici.
In questa logica, in Italia come in Calabria, occorre assumere alcuni princìpi e priorità di fondo:
– sostenere il riequilibrio modale, a vantaggio della mobilità attiva (pedoni, ciclisti, persone con disabilità) e del trasporto collettivo;
– assicurare primariamente servizi di trasporto di qualità, sia per passeggeri che per le merci;
– garantire eguali opportunità di accesso al trasporto aereo e ferroviario e stessi livelli di qualità per tutti i cittadini;
– potenziare il parco veicolare nel trasporto pubblico, colmando un deficit rilevante;
– mettere a norma e in sicurezza il sistema delle infrastrutture esistenti, cominciando dalle aree più arretrate;
– completare le opere incompiute, se di pubblica utilità riconosciuta;
– investire il giusto in infrastrutture realmente utili, recuperando dotazioni standard, a cominciare dai nodi strategici come porti, aeroporti, centri merci e logistici.
L’affermazione di questa visione richiede una classe dirigente all’altezza, quadri politici e tecnici competenti, che si pongano al servizio della comunità, libere da condizionamenti, garantendo spazi di partecipazione reali alle popolazioni e attenzione alle esigenze dei territori. Le risorse non mancano, oggi se ne sprecano fin troppe. E le opportunità occupazionali e di crescita socio-economica sono di certo assai maggiori con politiche di questo genere che non con le vecchie logiche affaristico-mafiose.
Per la Calabria, ed il Sud in senso più ampio, è tempo anche di far valere la propria voce in modo autorevole, tanto nelle sedi istituzionali, quanto nei confronti di grandi Enti di Stato e i grandi gruppi industriali. In una società civile, il diritto alla mobilità non può rispondere solo a logiche finanziarie, tanto meno ad interessi di vampiri, deve rappresentare una componente sostanziale del diritto alla libertà.