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Reggio Calabria, Anpi sezione Condo’: Il Golpe Borghese fu un pericolo vero di Guido Salvini

Il saggio di Fulvio Mazza, Il Golpe Borghese. Quarto grado di giudizio. La leadership di Gelli, il golpista Andreotti, i depistaggi della “Dottrina Maletti”, fornisce, nel cinquantennale del tentativo di Golpe, una risposta ragionata a tutti gli interrogativi posti dagli avvenimenti del 7-8 dicembre 1970. Innanzitutto la gestione politica (e giudiziaria) viene nel libro messa a nudo con il racconto in presa diretta della costituzione nel 1968 del Fronte Nazionale di Junio Valerio Borghese e della perfetta conoscenza che il Sid aveva dei suoi progetti, tramite soprattutto l’azione del cap. Labruna che dal 1973 era riuscito far parlare alcuni congiurati, a partire dal costruttore Remo Orlandini, fingendo la piena adesione sua e dei suoi superiori al piano. I congiurati gli avevano raccontato in dettaglio non solo quanto era avvenuto la notte del 7 dicembre 1970 ma i nuovi piani golpistici che ancora sino all’estate del 1974 venivano coltivati nel progetto denominato “Rosa dei Venti”. La gestione di questa massa di notizie da parte del Sid era stata un filtraggio molto accorto. Nell’impossibilità di nascondere alla magistratura tutto quello di cui era venuto a conoscenza, non dimentichiamo che l’indagine sulla “Rosa dei Venti” condotta a Padova del giudice Giovanni Tamburino stava giungendo al cuore dei progetti eversivi, prima il gen. Maletti e poi l’on. Andreotti, allora Ministro della Difesa, avevano selezionato e depurato le informazioni raccolte dal cap. Labruna. Così l’originario “malloppo” documentario si era trasformato in un “malloppo” più piccolo (che è passato alla storia con la denominazione di “malloppone”, ma che – ad onta del nome – era in effetti una documentazione smagrita), per opera del gen. Maletti e poi, di concerto con il Ministro alla Difesa, in tre esili malloppini che erano stati consegnati nel settembre 1974 alla Procura di Roma, certo meno “pericolosa” rispetto al magistrato padovano. Così era sparito dall’organigramma dei progetti eversivi il ruolo di alti ufficiali, tra di essi l’amm. Giovanni Torrisi destinato poi a diventare capo di Stato Maggiore della Difesa, il ruolo di Licio Gelli che nel progetto del 7-8 dicembre aveva il compito di neutralizzare il Presidente della Repubblica, il ruolo della struttura occulta di Avanguardia Nazionale diretta da Stefano Delle Chiaie e l’appoggio ai piani eversivi delle più importanti famiglie della ’ndrangheta calabrese. In più era scomparso ogni riferimento allo stesso direttore del Sid gen. Vito Miceli, contiguo ai golpisti e di cui guardava con benevolenza i progetti tanto da essere arrestato nell’ottobre 1974 proprio dal giudice Tamburino. Sappiamo tutto questo e con certezza perché quasi vent’anni dopo, il 7 novembre 1991, il cap. Labruna aveva portato al mio ufficio, l’Ufficio Istruzione, una vecchia borsa impolverata che conteneva i nastri, grosse bobine magnetiche di quel tempo, con la registrazione dei molti suoi colloqui con i congiurati che gli avevano rivelato tutto. Erano i nastri originali che Labruna aveva conservato per tanti anni, non quelli sottoposti alla potatura dalla direzione del Sid e dall’autorità politica per salvare gli aspiranti golpisti che andavano protetti. Li abbiamo fatti trascrivere e in quelle conversazioni, con tanto di ruoli e di circostanze, emergevano i nomi, alcuni li ho indicati, tutti li troviamo nel saggio, di coloro che, ai più alti livelli, erano stati salvati dall’incriminazione. Bisogna riconoscere che l’azione di infiltrazione del cap. Labruna era stata brillante sul piano investigativo e psicologicamente intelligente. Non si può ritenere che egli fosse complice dei golpisti, al contrario, e lo ricorda bene e forse per la prima volta Fulvio Mazza, il capitano fu tradito dai suoi superiori e alla fine pagò per tutti con i processi e la degradazione. Così, rendendo pubblici quei nastri il cap. Labruna, pochi anni prima di morire, ha riabilitato pubblicamente la sua figura. Parlando della risposta giudiziaria, l’assoluzione da parte della Corte di Assise di Roma di tutti gli imputati accusati di insurrezione armata contro i poteri dello Stato era stata poi in piena consonanza con la presentazione riduttiva del progetto eversivo da parte del Sid, anche oltre visto che erano stati assolti anche gli imputati rei confessi. Quanto al possibile appoggio degli americani l’autore evidenzia, come confermano anche le carte desegretate pochi anni fa negli USA, che Borghese aveva preso ripetuti contatti con l’ambasciata americana a Roma e che i nostri alleati atlantici sapevano tutto di quanto si stava progettando. Tuttavia la risposta statunitense era stata più che scettica. Al più gli Stati Uniti potevano dare il loro appoggio ad un intervento più limitato con la costituzione di un governo forte presieduto da un esponente DC di loro fiducia, con la prospettiva di indire nuove elezioni dalle quali magari fossero escluse le liste comuniste. Ma non condividevano il progetto di un golpe vero e proprio e questo per la mancanza di una vera leadership militare italiana in grado di governare. In sostanza non era possibile fare in Italia come ad Atene nell’aprile 1967. La mancanza di un appoggio atlantico è stata con ogni probabilità la ragione profonda del fallimento dell’operazione. Fine giunta, alle prime ore dell’8 dicembre, con il “contrordine” sia esso attribuibile, come scrive Mazza, a Gelli o a Andreotti. Non è escluso però, aggiungiamo noi, che un messaggio in tal senso possa essere giunto anche dai Comandi dei Carabinieri annunciando la loro defezione dall’operazione. Tra le altre vicende affrontate nel saggio c’è la morte del comandante Borghese in Spagna il 26 agosto 1974. Una scomparsa avvenuta in circostanze mai del tutto chiarite ma comunque provvidenziale perché proprio in quelle settimane il Sid con il gen. Maletti si apprestava a far pervenire alla magistratura le sue informative sui progetti di golpe dal 1970 al 1974, il cd “malloppino” depurato dai nomi più imbarazzanti ed un paventato ritorno del comandante Borghese in Italia avrebbe potuto rivelarsi assai scomodo per gli alti militari e i nomi più importanti che erano stati salvati da un possibile intervento della magistratura. Fulvio Mazza ricorda anche la scomparsa del giornalista de L’Ora di Palermo Mauro de Mauro, avvenuta il 16 settembre 1970, appena tre mesi prima del tentativo del 7 dicembre. De Mauro, per i suoi trascorsi giovanili proprio nella X Mas di Borghese, probabilmente aveva raccolto informazioni su quanto si stava preparando e il suo lavoro poteva essere quindi pericoloso per i progetti golpisti. Inoltre l’atteggiamento e la scelta del Pci che molto probabilmente aveva avuto notizia di quanto stava avvenendo in tempo reale e comunque ben prima dello scoop di Paese Sera del 17 marzo 1971. Il partito, con una precisa scelta politica, aveva tuttavia deciso di far comprendere all’esterno di essere al corrente del pericolo corso solo con qualche articolo volutamente criptico sul quotidiano l’Unità e aveva nel contempo aumentato la “vigilanza” dei suoi militanti. Questo per non provocare subito una reazione dei settori filo-golpisti delle Forze armate che, di fronte all’esplosione del caso, avrebbero potuto intraprendere una reazione violenta e ancor più pericolosa. Il saggio è corredato dalla riproduzione delle più importanti relazioni del Sid concernenti la preparazione del golpe, difficilmente accessibili ed in parte inedite, e da una dettagliata cronologia degli avvenimenti di quei giorni, dalle prime ore del 7 dicembre 1970 sino al contrordine, giunto intorno alle ore 1.40 dell’8 dicembre, e alla ritirata dei congiurati. Infine Fulvio Mazza, sulla base dei dati disponibili dopo lunghi anni di ricerche e di indagini giudiziarie, stima l’entità dei militari, anche di alto grado, e dei civili che furono coinvolti nel complotto in 20.000-40.000 persone. Una forza per niente disprezzabile. Tutt’altro, in conclusione, che un golpe da “operetta” progettato da “quattro generali in pensione” ma un capitolo della storia italiana da non dimenticare perché ha ancora non poco da insegnarci Insomma: un libro decisamente buono e ben documentato.

Guido Salvini, Magistrato