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Spes contra spem il giorno dopo Altolà alle zone grigie Per arginare le ingerenze delle cosche, accresciute dalla lentezza e dalla mancata riforma della giustizia Luigi Mamone

Spes contra spem: “essere speranza per dare speranza”. Questa la linea di pensiero che ha dato il nome all’ operazione che ha visto lo scorso 5 giugno l’esecuzione di 11 ordinanze di custodia cautelare in carcere ed altre misure meno afflittive nei confronti di soggetti ritenuti affiliati o contigui – esponenti di seconda generazione – di quelle consorterie taurianovesi che trenta anni or sono, al culmine di uno stillicidio di delitti iniziato un anno prima, diedero vita a una tragica mattanza con ben 5 vittime nell’arco di poco più di 24 ore. I fatti recenti, di cui all’ordinanza eseguita dai Carabinieri della Compagnia di Taurianova nella notte fra il 4 e il 5 giugno, non hanno o , almeno, non avrebbero o non dovrebbero avere legame diretto con quelli di trenta anni prima che furono espressione di una guerra feroce fra due bande armate, sullo sfondo di vicende e strategie ndranghetistiche molto più ampie, sottili e ciniche volte a creare focolai di tensione nell’Hinterland della Piana del Tauro distraendo l’attenzione dal Porto di Gioia e da ciò che vi giungeva. Interconnessione che i processi Tirreno e, soprattutto, Taurus dimostrarono, evidenziando con l’apporto di collaboratori come Tito Raso e i due fratelli Grimaldi che molte di quelle vicende avessero avuto la cabina di regia nella “Masseria dei Molè”, nell’ area mai troppo esplorata del “Bosco” fra Gioia Tauro e Rosarno. D’altronde, se tanto non fosse, a distanza di 30 anni sarebbe veramente preoccupante e paradossale e stigmatizzerebbe l’inefficacia e il fallimento di quanto in trenta anni era stato fatto a contrasto delle ndrine. Le attuali vicende sarebbero, invece, a ben vedere – a parte l’identità di alcuni nomi e la possibile voglia di rivalsa in tema di esercizio di potere di chi per tre decenni era stato detenuto – le usuali attività che le cosche praticano nei territori dove allignano. Sembrerebbe, fra nomi noti e nuovi innesti, un segnale certamente di un tentativo non sottovalutabile di riorganizzazione di un locale di ndrangheta – in luogo dei vecchi organigrammi i cui esponenti di maggior spicco sono detenuti ormai da moltissimi anni in regime di massima sicurezza. Vicende nuove – dunque, e vecchi metodi; che non appaiono però teleologicamente riconducibili o accostabili alle tragiche vicende del ’91 la cui migliore chiave di lettura rimangono – a trenta anni di distanza – i due reportages del TG1 Sette di RAI Uno – curati dal compianto Mario Foglietti e andati in onda con il titolo “I giorni del Dolore” e “Ritorno a Taurianova”
Il dato pregnante dell’operazione Spes contra Spem – sottaciuto praticamente da tutti gli analisti è – a nostro giudizio – non tanto che siano stati tratti in arresto le figure di spicco e i loro giovani sodali ( alcuni di loro già detenuti per reati fine ai quali ora si è aggiunto il 416 bis ) ma perché fra gli arrestati vi sono soggetti ritenuti estranei agli ambienti criminali e di appartenenza alla ndrangheta ma che per dirimere delle controversie private che li interessavano, o alle quali forse furono da terzi interessati anziché rivolgersi alla giustizia – civile o penale – dello Stato si sarebbero rivolti all’Antistato: al “paciere” : uomo di rispetto – si ritiene – con qualità tali da poter dirimere in tempi rapidissimi e secondo il proprio volere la questione. Un tempo sul Corriere della Sera – correvano gli anni ’90 – si parlò, in una inchiesta che ebbe molta risonanza, dei “Tribunali di don Nicola” dove il Don indicava un uomo di rispetto : uomo d’onore o padrino del paese. Il fatto che trenta anni dopo quella inchiesta , qualcuno fra gli arrestati sembrerebbe aver inteso fare la stessa cosa e, a causa di ciò , sia stato tratto in arresto, è – a nostro giudizio – un segnale forte che lo Stato e la Procura Antimafia hanno inteso dare a tutti quei cittadini – non affiliati ad alcuna cosca – ma che alla bisogna – zona grigia di varia estrazione, censo e livello culturale – non disdegnerebbero di rivolgersi al padrino del paese per ottenere giustizia o ristoro in tempi rapidi o per far affermare a titolo di privilegio un proprio desiderata da barattare con l’adesione a un modus agendi condannato dallo Stato e dalla società civile. Il messaggio è forte. Non è rivolto tanto a chi – pregiudicato o affiliato – abbia scelto di fare il malandrino e di praticare il crimine, ma a quella zona grigia della società – soprattutto meridionale – che consentirebbe agli aspiranti ndranghetisti e ai padrini di paese di sentirsi tali, riconosciuti, ossequiati e pertanto legittimati ad ogni indebita ingerenza nelle usuali vicende di una comunità.
Per questo “essere speranza per dare speranza” appare termine quanto mai azzeccato per far comprendere ai cittadini onesti che non devono mai dubitare della forza e dell’efficacia dell’azione dello Stato. Certo, i cittadini onesti spesso patiscono le lentezze, la contraddittorietà e farraginosità della giustizia, sia civile che penale, al punto da dover attendere anni per avere risposte. Per questo “Spem contra spes” dovrebbe essere non il trait d’union con una pagina tragica ma lontana della storia taurianovese ma soprattutto un monito ai cittadini a non cedere alle lusinghe della ndrangheta, e a quella classe politica che ormai da troppi anni nicchia sull’urgenza di una riforma seria ed efficace della giustizia e che fino ad oggi, con decisioni contraddittorie, giustizialismo da social e scandali d’alto livello ha fatto perdere ai cittadini la fiducia nella Giustizia oltre che – attraverso la soppressione di moltissimi Uffici Giudiziari, Stazioni dell’Arma e commissariati di PS in paesini dove è tangibile la presenza della ndrangheta – anche la percezione stessa della legalità in larghi strati di una società ormai povera di valori e di speranze dando così ossigeno e rivitalizzando figure di Padrini di paese, ndranghetisti e affini, che calandosi nel ruolo di paciere e di mediatore danno ai cittadini l’illusoria convinzione di poter supplire e sostituirsi – come antistato criminale – alle carenze di uno Stato di diritto da riformare.