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Undicenne calabrese “collaboratore di giustizia” La furia dell’osservatorio: “lo stato non può esporre così un minore”

Antonio Marziale

Antonio Marziale

– “Non è accettabile che un bambino di undici anni venga dato in pasto alla cronaca quale collaboratore di giustizia. Ritengo essere ciò un atto di imprudenza ingiustificato e altamente pericoloso”: è la decisa presa di posizione del sociologo Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori, alla notizia riportata su tutti gli organi d’informazione, concernente il bimbo di un pentito del reggino, che a sua volta starebbe fornendo agli inquirenti particolari preziosi al punto da – come riportato dalle fonti giornalistiche – far tremare i polsi alla ndrangheta.

 

Marziale si dice: “Infuriato per l’esposizione del piccolo, di cui si riporta una generalità alterata, salvo immediatamente dopo indicare con tanto di nome, cognome ed età il padre, davvero una genialata”.

 

Il presidente dell’Osservatorio ha provveduto a mettersi in contatto con gli uffici della presidente della Commissione parlamentare antimafia, Rosy Bindi: “Affinché – spiega il sociologo – si identifichino i responsabili della fonte della notizia, che personalmente reputo irresponsabili, e si attuino tutti i protocolli necessari per la sua messa in stato di sicurezza come mai avvenuto fino ad oggi, perché la notizia così diffusa non v’è dubbio che lo espone ormai irrimediabilmente e a vita”.

Alle parole di Marziale si aggiungono quelle del responsabile dell’Ufficio Legale dell’Osservatorio, Antonino Napoli: “Giuridicamente non è tecnicamente possibile considerare collaboratore di giustizia un undicenne, perché come tutti i minori egli deve essere ascoltato con le garanzie previste dalla Carta di Noto ed altre norme. L’apporto del bambino alle indagini Polizia, a sua tutela e a buon esito delle investigazioni, doveva essere tenuto segreto almeno fino al rinvenimento di riscontri oggettivi e, travalicando i confini dei dettami giurisprudenziali, doveva essere tenuto segreto e basta. Lo Stato non può esporre un bambino in questo modo”.