“Nomadland” il film Oscar sulla nuova normalità: una società in cammino. Di Al. Tallarita

Ieri al Cinema Farnese, di Campo de’ Fiori a Roma, sono andata a vedere “Nomadland”.
Vado a vedere un film sulla condizione nomade, come ritorno alle vecchie abitudini, quasi un ossimoro.
Racconta di Fern, che trasloca in un garage tutte le sue cose e lascia la città di Empire e il Nevada. A bordo del suo furgone ora casa. Attraversa gli Stati Uniti occidentali. Lei, sessantenne, ha perso il marito e il lavoro con la Grande recessione. Fa lavori diversi, di fortuna, vivendo da nomade.
Film che ha vinto tre Oscar, al miglior film; miglior attrice; miglior regista e vari altri premi. Un libro di Jessica Bruder, un racconto d’inchiesta, pubblicato da Ed.Clichy, diventato film. Di certo quelli candidati all’Oscar quest’anno non sono stati i film di massa, ma in cui si esaltano persona e aspetti psicologici profondi. Così che il primo di maggio, come festeggiare, se non venire al cinema dopo un anno e mezzo, a vedere il film di Zhao. Non sono molte le persone in fila, a questo primo spettacolo. Una ventina di persone, comprese alcune coppie. C’è distanziamento, misure di igenizzazione all’ingresso, si presenta la prenotazione fatta online. Palpabile un’emozione, rifare qualcosa, un vecchio atto spontaneo, adesso una riconquista.
La sala è piena, con distanziamento, congiunti vicini, poi ogni tre o due sedili vuoto siamo disosti. Io sono da sola in una fila intera. L’attesa è nuova.. dell’inizio del film e di una nuova fase, che abbiamo tanto atteso tutti. Quanto ha pesato sulle nostre menti questa chiusura? Molto.
Solo che come essere umani ..che si abituano ci eravamo abituati alla cattività.
si abbassano le luci… Parte .. Uno spot già di per sè emoziona.. eccolo il film.
Un allontanamento da un affetto.
Da una vita a un altra vita. Da un lavoro a tanti lavori. Un furgone camper e un lavoro stagionale in Amazon. Tranne un abbraccio di sfuggita dopo aver pagato l’affitto del garage. Il ricordo del marito scomparso e del padre. La prima scena è dominata dalla presenza delle donne. Il viaggio avviene su di un camper chiamato ‘avanguardia’.
Questo scorcio di umanità, spaventa un po’.
Una mobilità assoluta. Questa donna androginea, i capelli corti, ha in sé la liquidità sociale di questo tempo.
“Domani è domani e domani. ”
Non sono senza tetto ma senza casa.
Ecco cosa risponde a una sua ex allieva di ripetizioni, incontrata in un negozio di attrezzi sportivi.
Vivere in un veicolo e viaggiare.
Scelta o necessità..si intersecano.
Il marito lavorava in miniera, lei nelle risorse umane di questa. Desolante come quel camper all’alba sulla neve. L’uomo era nomade sì, ma in gruppo
Non da solo…Questa solitudine spaventa quasi irrita. Non è auspicabile a nuova normalità. E poi l’incontro con altre solitudini, in camper e pickup. Che attorno al fuoco raccontano le loro storie E infatti è la tribù, la comunità che arriva. Penso che ci siamo creati terre e spazi, confini, siamo diventati società sedentarie, e ora torniamo indietro.
E questa considerazione di concezione nomade è il futuro. Quante popolazioni già lo fanno e quanti limiti nazionali a stano slacciando. La malattia, assale società e individui, metaforica e reale, si prende la
materia e lo spazio conquistati.
E la tribù celebra i suoi riti di passaggio, i suoi canti, costruisce la sua cultura libera.
Quale il prezzo della libertà?
Probabilmente meno comodità e responsabilità differenti.
Anche condizione di benessere, che reca aspetti negativi.L’argomento eutanasia arriva come una doccia gelata. Come idea di fine vita, ma anche come sollievo dalla sofferenza. Lei ricorda, l’altra amica conosciuta, parte, per il suo ultimo viaggio in Antartide. Incomparabile nel film di certo, è il rapporto con la natura, riscoperta. Che apre un varco nell’idea della dimensione umana, ora di nuovo in mezzo alla natura, i suoi tempi. E il lavoro è nomade. Come la vita.
Altri giro altra corsa.
La casa autosufficiente che non inquina.
Lindamey andrà a vivere lì dopo tanti anni di pick up e roulotte. In cui era finita, non per scelta di vita, ma per evitare di porre fine a quella vita. E così continuare a vivere, con un conto in banca, che nonostante anni di lavoro e sacrifici, era andato in rosso.
Così la tematica ambientalista si collega alla tecnologia e fa capolino la dove la femminilità, allegra colorata, si manifesta, nell’anziana amica. Le amicizie sono brevi
Tutti vanno via. Un ricambio costante, di ogni aspetto della vita. Farn, odia interferenze e presenze maschili. Ma non tanto da non aiutare, un nuovo amico che ha una palese simpatia per lei, in ospedale per una diverticolite. ‘A volte vi chiamano nomadi o senza fissa dimora’. Tra le barbabietole e restargli vicino, accetta e resta lì a lavorare temporaneamente in un fast food.
Ma è solo la anteprima a un altro addio.
Che lascia una pietra forata attraverso cui vedere il mondo…
La solitudine dunque è la dimensione primaria del film. Quella della condizione umana. Mentre si passa al nuovo lavoro di raccolta.C’è sempre una lavatrice che gira e sogni che si avverano. Come quello di un ultimo viaggio. Con le rondini a fare niti su una parete rocciosa. Con i gusci che cadono nell’acqua limpida e verde.
La fotografia merita e di certo vale la pena vedere questo film al cinema, per poter godere delle immagini di questi spazi così aperti e belli ma anche dei particolari che la natura offre. Ma si resta soli, davanti a una montagna di barbabietole. E se il motore si ferma? Beh se quella è la tua casa sei nei guai. Il romanticismo della natura passa in secondo piano. E si va a suonare al campanello della famiglia. Che però lavora stabilmente e tiene casa. Caso, fortuna, scelta, volontà. La conversazione arriva alla teoria sostenuta che l’immobiliare è vincente. Non tutti possono mollare tutto e prendere il largo. ‘Ma quanto è giusto spingere a comprare una casa a chi non può permetterselo?’ Oppure come i pionieri riprendere la tradizione. La sorella le dà in prestito i soldi per aggiustare il suo camper. Quello che c’è altrove è sempre più interessante. La audace e sincera Farn. Forse da sempre eccentrica. Lascia e va via. Gli altri vivono la sua assenza e il suo vuoto. La sua è la scelta di vivere. Poesia e natura si mescolano. Mentre.. il viaggio prosegue. Come la vita che si succede. Un bimbo di pochi mesi sulle ginocchia. E si entra di nuovo in una casa. Tra oche galline e tacchini. Con un Ringraziamento per i nuovi arrivati, i vecchi e quelli nel mezzo. Se scappi di notte da un letto caldo al tuo van e allora vuol dire che la condizione di nomade è qualcosa di più. È una fuga.
Dagli affetti, dai ricordi; per lei forse è cosi.
Questa libertà è solitudine.
Amazon e l’oblò vivo della lavatrice, segnano la nuova normalità. La norme della solitudine, dell’essere nomade. Del rito attorno al fuoco, per quell’ultimo saluto a Suenki. Che a quella ultimo viaggio in Antartide però ci arriva.
Si ripetono gli scenari, ‘da Empire non potevo andare via subito, perché ero rimasta senza Bo, senza lavoro, senza casa, senza città’. Svuota il garage. Terrà solo una giacca suo ricordo. Ciò che viene ricordato vive.
Ma se ricorda senza vivere?
Nessun addio è definitivo.
La strada riunisce tutti.
Ma tra un dentro e un fuori,
se dentro è vuoto..si sceglie il fuori.
Che volendo potrà offrire tutto.
Anche se si dovrà incontrare viaggiando
Ci vediamo lungo la strada…
Nomadland

Scheda:
Nomadland
T 2020 ‧ Film Drammatico/Western ‧ 1h 50m
Data di uscita: 29 aprile 2021 (Italia)
Regista: Chloé Zhao
Distribuzione in italiano: Walt Disney Studios Motion Pictures, Disney+
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