PALMI Operazione “Cosa mia”. Quattro arresti

programma criminoso del gruppo delinquenziale.

 

Rosario Sgro’, fin dalla prima metà degli anni ottanta, forniva un fondamentale contributo all’associazione, mantenendo contatti con i sodali latitanti e partecipando anche ad attività estorsive in concorso con questi ultimi (in particolare, con Gallico Giuseppe). Successivamente, dal 1990 circa, fungeva stabilmente da prestanome per conto della cosca, quale intestatario fittizio di numerosi appezzamenti di terreno di proprietà della stessa, in tal modo ricoprendo un ruolo essenziale di copertura, funzionale ad evitare l’esposizione dei Gallico ai provvedimenti della A.G. in materia di misure di prevenzione patrimoniale. Permetteva inoltre alla ‘ndrina di autofinanziarsi, vendendo periodicamente degli appezzamenti di terreno di cui risultava intestatario fittizio e consegnando le somme percepite agli elementi di vertice del sodalizio. Più in generale, si metteva a completa disposizione degli interessi della cosca, cooperando con gli altri associati nella realizzazione del programma criminoso del gruppo.

I fratelli Ficarra con altri imprenditori di riferimento della cosca – il primo quale titolare di fatto e il secondo quale formale intestatario dell’impresa individuale Roberto Ficarra, ditta che costituiva una mera “copertura” di quella originariamente intestata a Antonino Ficarra e Giuseppe Ficarra (sottoposta a sequestro preventivo nell’ambito dell’operazione “Tallone d’Achille”) e che riusciva ad ottenere subappalti relativi ai lavori di ammodernamento della A3 nella zona di competenza o comunque ad aggiudicarsi con metodo mafioso numerosi altri contratti di appalto nel comune di Palmi, concretizzando il predominio della associazione nel campo dei lavori pubblici e privati- si ponevano al costante servizio dell’associazione mafiosa per la realizzazione dei suoi interessi, a tal fine ricevendo disposizioni dal latitante Rocco Gallico e dal detenuto Domenico Gallico ed agendo in stretto contatto con i sodali Filippo Morgante e Vincenzo Galimi, cooperando, più in generale, con gli altri associati, nella realizzazione del programma criminoso del gruppo.

Nei confronti di Vincenzo Sgro’, il GIP presso il Tribunale di Reggio Calabria non aveva accolto la richiesta di custodia cautelare in carcere a suo tempo avanzata dalla DDA di Reggio Calabria, mentre i restanti soggetti erano stati rimessi in libertà per intervenuto annullamento per motivi di ordine formale da parte della Corte di Cassazione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere.

Come si ricorderà l’indagine “Cosa Mia” condotta dalla Squadra Mobile e dal Commissariato di P.S. di Palmi (RC) nel mese di giugno 2010 aveva portato alla luce le varie attività criminali dei clan Gallico-Morgante-Sgrò-Sciglitano del “locale” di Palmi, e dei Bruzzise-Parrello del “locale” di Barritteri e Seminara. Nello specifico una serie di tangenti per i lavori sulla A3, omicidi di mafia, ma anche estorsioni e violenze nei confronti di chiunque si rapportasse con le cosche. Secondo le indagini della Dda, sarebbe stato proprio il vecchio boss Umberto Bellocco, a stabilire chi avesse diritto a ricevere la tangente del 3% sul capitolato d’appalto dei lavori della Salerno Reggio Calabria: la cosiddetta tassa di “sicurezza sui cantieri”.

Dalle indagini era emerso che solo le ditte gradite alla ‘ndrangheta avrebbero potuto ottenere i lavori in subappalto. Non solo le ditte che eseguivano i lavori di ammodernamento dell’autostrada, ma anche quelle che si aggiudicavano gli appalti di servizi dovevano rientrare fra le imprese “gradite” alla criminalità organizzata calabrese”. Le cosche avevano condizionato tutte le attività delle ditte sui cantieri, arrivando a imporre anche l’assunzione delle maestranze. E della suddivisione delle tangenti tra le famiglie “competenti” sul V Macrolotto della A3 erano proprio gli affiliati a parlare nelle intercettazioni telefoniche. Un controllo capillare della ‘ndrangheta con una chiara divisione della A3 in zone di competenza, con riferimento ai territori “amministrati” dalle varie cosche.

Anche i numerosi omicidi perpetrati nell’ambito della “faida di Barritteri”, a Seminara, dal gennaio 2004 al dicembre 2006, sarebbero riconducibili proprio alla legittimazione a riscuotere i proventi delle estorsioni connesse ai lavori di ammodernamento della A3: una riapertura della faida dunque tra i Bruzzise e lo schieramento Gallico-Morgante-Sciglitano per configgenti interessi economici. Non tutti i macrolotti erano però ritenuti uguali. In una conversazione intercettata, Giuseppe Gallico evidenziava come il tratto fino a Palmi fosse quello maggiormente remunerativo poiché dovevano esser realizzati ponti e gallerie.

E chi doveva lavorare erano le cosche a deciderlo. La metodologia utilizzata per estromettere le imprese non contigue alla criminalità organizzata muoveva su due differenti piani: da un lato si cercava di scoraggiare alcune ditte attraverso i contatti informali nel corso dei quali venivano prospettati prezzi bassissimi per potere concretamente partecipare ed aggiudicarsi le singole gare; dall’altro, si faceva ricorso alle tipiche metodologie mafiose, cioè alle intimidazioni mediante l’utilizzo di armi e/o attraverso i danneggiamenti alle cose.

Un sistema criminale che prevedeva il pagamento alle cosche di una tangente in funzione della competenza territoriale sull’autostrada A3 – c.d. “tassa ambientale”– corrispondente al 3% dell’importo fissato nel capitolato, sovrafatturazioni o emissione di fatture a fronte di operazioni inesistenti, fornitura di materiale qualitativamente non corrispondenti al capitolato d’appalto, imposizione di ditte “amiche”, ostracismo nei confronti di quelle non gradite, posa in opera del materiale con metodi tali da impiegare un quantitativo inferiore a quello necessario ma apparentemente rispondente a quello fatturato, imposizione di assunzioni.

Com’è noto, il GIP presso il Tribunale di Reggio Calabria, in accoglimento della richiesta avanzata dalla locale DDA, concordando pienamente con le risultanze investigative acquisite dalla locale Squadra Mobile e dal Commissariato di P.S. di Palmi nel corso di articolate indagini, emetteva 52 ordinanze di custodia cautelare in carcere con contestuale sequestro preventivo di beni immobili ed attività commerciali individuali che venivano eseguite l’8 giugno 2010 nell’ambito di una imponente operazione di polizia nota alle cronache come “operazione Cosa Mia”. Gli arrestati, dopo le formalità di rito, sono stati portati in carcere a disposizione dell’Autorità Giudiziaria.