Il diario di Aldo Alessio* 8° parte: Ecco perché manca la sicurezza

Di nuovo gli olandesi

Pomeriggio di Pasqua è arrivato al Giglio, portato a rimorchio, un grande pontone olandese denominato “Conquest MB 1”. Gli Olandesi, da sempre, sono stati i veri maestri nei lavori a mare, hanno continuamente strappato alle acque marine parte delle loro terre, che sono state protette da incredibili, grandi e mastodontiche opere di ingegneria idraulica. Draghe, pontoni e natanti di ogni tipo sono stati costruiti in Olanda. Persino i lavori a mare, durante la costruzione del porto di Gioia Tauro, si sono potuti realizzare grazie all’utilizzo di mezzi marittimi costruiti in Olanda come, ad esempio, le draghe stazionarie “Gioia” ed “Esperia” impiegate dal consorzio Cogitau, oppure la M/draga “Maria Lucia Seconda” della Vianini Dragaggi.

Il Conquest MB 1, chiamato in inglese “Crane Barge”, è un grande pontone, costruito nel 2012, con dimensioni mai viste prima: 136 metri di lunghezza per 36 di larghezza, con una possente e ciclopica gru in grado di sollevare a mare, come un fuscello, un peso di 1.400 ton. La sua presenza è motivata perché è in grado di sollevare e posizionare i 15 cassoni che dovranno essere sistemati sulla fiancata dritta del relitto indispensabili per portarlo in galleggiamento. Il 23 Aprile 2014, un forte vento con mare da NW ci ha costretto a lasciare l’affiancamento del relitto della Concordia per trovare rifugio, a mezzo miglio più a sud, nella baia chiamata “Cala delle Cannelle”. Qui abbiamo dato fondo all’ancora in attesa del miglioramento delle condizioni meteo marine. In questa piccola baia, a differenza delle coste dell’isola che si presentano scoscese con approdi poco agevoli, c’è una piccola spiaggia chiamata Cannelle. Ci troviamo esattamente a circa 200 metri dallo scoglio “le Scole”.

 

 

Quei maledetti scogli e la nuova morale del mare

Osservo lo scoglio “le Scole”, c’è quasi una continuità con altri due scogli maggiori, intervallati da un piccolo passaggio di mare, mentre il primo scoglio e quasi fisicamente legato all’isola nonostante sia separato da poche bracciate, e tutti e tre sono allineati a Est. Lo scoglio di profondità, quello che ha causato sull’opera viva della Costa Concordia uno squarcio di circa 70 metri lungo la sua fiancata sinistra, si trova a poche decine di metri dall’ultimo scoglietto emerso e di cui si notano, anche da lontano, le schiume bianche dei marosi che si infrangono su di esso.

Sembra di osservare chissà quale grande serpente marino preistorico che, dopo aver afferrato ed addentato la sua preda che si dibatte, si gira intorno, con forza brutale, per ingoiarla, e, in questo turbinio di movimenti con le acque che si sollevano verso il cielo, si forma una meravigliosa schiuma bianca con spruzzi che si sollevano dal mare quasi a volerci indicare la lotta continua per la vita sostenuta da chi è stato a sua volta predato. Non vedere quello scoglio, venendo dal mare, significa non vedere l’intera Isola del Giglio. E’ pazzesco! La nave si dirigeva non verso l’isola, ma sull’isola. Non riesco proprio a capacitarmi come sia stato possibile che sia potuto accadere ciò che nei fatti è realmente accaduto. Riconfermo la mia prima impressione che è stata quella di sostenere che il comandante Schettino quello scoglio immerso se lo è proprio andato a cercare, dimostrando altresì di aver avuto anche una buona mira nel centrarlo!

In questi giorni ho seguito l’ennesima tragedia in mare causata dall’affondamento del traghetto Sud Coreano “Sewol”, con a bordo 476 passeggeri tra cui 252 studenti, che si è consumata con 68 morti e numerosi dispersi. La crudezza delle scene e delle immagine televisive hanno mostrato al mondo intero questo ennesimo e terribile evento in cui si vede tutta la fase del naufragio del traghetto che prima si abbatte sul fianco sinistro, con gli elicotteri che prestano soccorso, e poi si capovolge affondando. Si presuppone che, anche in questo tragico evento, la nave abbia potuto urtare uno scoglio in profondità causando una grande falla che non è stata più possibile tamponare per impedire l’affondamento del traghetto. Al momento del disastro, il comandante Lee Joon-seok, 68 anni, non era sul ponte e, su suo ordine, al timone c’era un terzo ufficiale (donna) che aveva meno di un anno di servizio. Una nave piena di passeggeri, lasciata nelle sole mani di un giovane ed inesperto ufficiale. Anche in questa tragedia il comandante è stato tra i primi ad abbandonare la nave pensando di salvare solo se stesso e noncurante delle centinaia di passeggeri che invocavano aiuto.

In questo c’è una similitudine con il comandante Schettino.

Non credo che oggi ci sia qualcuno di noi disposto a pensare che, così come avveniva nel passato, il comandante debba affondare con la sua nave, ma non si può nemmeno immaginare che quando succedono fatti così tragici e gravi, il comandante sia il primo a scappare! Non si può passare da un eccesso all’altro! Non può essere questo l’insegnamento che andiamo a dare alle nuove generazioni che vogliono seguire la via del mare. Nella millenaria cultura marinara abbiamo tutti appreso da una scuola di vita vissuta che a mare è sempre esistita la solidarietà verso i naufraghi e la solidarietà tra i componenti l’equipaggio. Abbiamo sempre saputo che, sulle navi, la nostra vita è legata a quella degli altri.

Tra di noi marinai è quindi difficile solo immaginare di pensare di dover girare le spalle verso chi sta invocando aiuto. Ecco perché questa nuova forma di diseducazione verso le nuove generazione, data dal cattivo insegnamento di Schettino e di Lee Joon-seok, dovrà subito essere stroncata sul nascere per riscoprire quei valori sulla salvaguardia della vita umana e sulla solidarietà a mare che ci hanno sempre contraddistinto nel passato. Inoltre, così come era già avvenuto sulla Concordia, anche in questo caso ai passeggeri è stato detto di rimanere all’interno delle proprie cabine.

 

 

Il dovere della serietà

Allora, mi domando: ma le “Muster Stations”, cioè i famosi punti di riunione, previsti nella “Muster List” cioè nel Ruolo di Appello a cosa servono se non vengono usati proprio nelle emergenze? Pensiamo forse di usarle solo ed esclusivamente quando “giochiamo” a fare le esercitazioni generali di emergenza, oppure di usarle quando c’è un reale pericolo? Ci ricordiamo tutti, io credo, del famoso “E’ va buò”, l’espressione usata da Schettino quando gli fu comunicato che, nonostante non avesse dato l’ordine di abbandonare la nave, i passeggeri erano già saliti sulle lance di salvataggio? Sul traghetto è successo che nel mentre l’equipaggio aveva già indossato i giubbotti di salvataggio, lo stesso ordine non era stato impartito ai passeggeri, ai quali invece veniva semplicemente comunicato di rimanere “calmi in cabina”.

Non c’è stato nessun ordine del comandante di recarsi nelle “Muster Stations”, né tantomeno è stato mai dato l’ordine dell’abbandono nave e quindi di salire nelle scialuppe di salvataggio. Quell’ordine da parte del comandante non arrivò neanche quando la nave era già inclinata sul fianco di quasi 50 gradi! E’ terribile! Anche in questo caso le procedure sono state tutte violate e c’è stata la colpevolezza del comandante per non aver dato tempestivamente l’ordine di abbandonare la nave. Su questa vicenda il comandante e altri quattro componenti l’equipaggio sono stati arrestati perché sospettati di non aver protetto i passeggeri e di aver abbandonato la nave che affondava. Ci sono infine, in entrambi i casi, le problematiche legate all’addestramento dell’equipaggio.

Tutta la sicurezza della nave, compresa l’addestramento dell’equipaggio, è diventata oggi una procedura di mera formalità, necessaria solo per riempire gli innumerevoli “forms” che tutti gli ufficiali, dal comandante all’allievo, devono compilare nel quotidiano lavoro svolto e che non servono a nulla, anzi, tolgono impegno all’Ufficiale di guardia che anziché curarsi la navigazione con maggiore attenzione è obbligato a riempire continuamente “inutili” forms.

Per avere una idea di quello che dico voglio raccontarvi che anni fa, ironicamente, mi inventai, preparai ed inviai al Management della nave una vignetta satirica nella quale si vedeva la figura del comandante vicino allo scalandrone della nave chiamare per radio (o cellulare) il DPA (Designated Person Ashore), cioè il responsabile della sicurezza del Management, per informarlo che la nave stava affondando, e a questa sua comunicazione il DPA freddamente così replicava: “Mi raccomando comandante prima di abbandonare la nave si assicuri dell’avvenuta compilazione del form sec1, attestante la chiusura delle valvole del gasolio”. Questo per dire che la sicurezza della nave e dell’equipaggio non è assolutamente garantita da tutte queste innumerevoli ed inutili procedure impostate ad arte per scaricare le responsabilità solo sul comando nave, il quale stretto tra l’incudine dell’Autorità Marittima e il martello dell’Armatore, riceve colpi da entrambe le parti. Da precisare che per la compilazione di tutte queste procedure sulla sicurezza, visti i ritmi di lavoro e la riduzione dell’equipaggio, a bordo non rimane neanche il tempo sufficiente per fare le dovute esercitazioni e garantire così il corretto addestramento dell’equipaggio.

 

 

Il rispetto per chi lavora

Come si fa a non rendersi conto che quando non viene garantito il giusto riposo ai componenti dell’equipaggio, tutto va a discapito della sicurezza? Non è possibile, su questi temi così importanti e delicati, pretendere di avere la botte piena e la moglie ubriaca! Tra tutti i porti che ho toccato nel mondo posso spezzare una lancia solo a favore degli Stati Uniti d’America ed in particolare dei porti californiani che usano normative ancora più restrittive degli altri Stati Americani sia sulle problematiche ambientali che sul livello di sicurezza a bordo. I controlli sulle navi, eseguiti dal “Port State Control” e dalla “Coast Guard” e cioè delle Autorità preposte, vengono effettuati con impegno e determinazione anche nella verifica pratica del livello di addestramento dell’intero equipaggio. Su questo vi posso confermare che a seguito di questi controlli, quando risultava che la nave era in ordine e non aveva ricevuto nessuna “Non conformity” da eliminare prima della partenza, anche noi ci sentivamo più soddisfatti professionalmente, ma anche più sicuri nel proseguire la nostra navigazione. Non parliamo di quei porti dove sono sufficienti poche centinaia di dollari o un po’ di viveri prelevati dalla cambusa per far diventare le “non conformity”, conformità ai regolamenti di sicurezza. Su ciò sarebbe fin troppo facile addossare la responsabilità solo al comandante.

Ben altre sono invece le responsabilità dei costruttori e di chi ordina le commesse per la costruzione delle nuovi navi, ma anche degli stessi Registri di controllo che dovrebbero essere più rigorosi sull’applicazione delle normative di sicurezza a bordo alle navi durante tutte le fasi della costruzione. I progetti dovrebbero assicurare anche un maggior numero di compartimenti stagni della nave per impedirne l’affondamento in caso di falla. La sicurezza della nave e della navigazione non dovrebbe essere un più un optional dell’Armatore che mette sempre al primo posto il suo business. E allora, andiamo e rivedere complessivamente e una volta per tutte la normativa che abbiamo in Italia sulla sicurezza delle navi e della navigazione e per la salvaguardia delle vite umane a mare, rendendola più pratica, più sicura e più snella, nell’interesse generale di tutti noi marinai. Ma quale classe politica in Italia potrebbe occuparsi, oggi, di queste nostre importanti problematiche?

 

Aldo Alessio*

Capitano

già sindaco di Gioia Tauro