1 miliardo per collegare i porti alla rete ferroviaria…ma il Sud non c’è

Domenico Gattuso, Ordinario di Ingegneria dei Trasporti, Università Mediterranea di Reggio Calabria, Coordinatore di Altra Calabria

 

In linea con gli orientamenti comunitari, il Governo nazionale ha assunto un orientamento programmatico, in accordo con RFI,  per potenziare i collegamenti della rete ferroviaria nazionale con porti, interporti, terminali e piattaforme logistiche. Un investimento di circa 1 Md € in infrastrutture è stato deciso di recente, che si aggiunge ai 4 Md € già previsti per interventi sul trasporto merci. L’obiettivo dichiarato è lo sviluppo dei servizi intermodali e il trasferimento modale di merce sulla via ferrata.

 

Se le intenzioni sono buone, discutibile appare tuttavia l’approccio. Strabismo, miopia o scarsa lungimiranza? Fatto sta che, ancora una volta, il Mezzogiorno d’Italia risulta invisibile alle forze di governo nazionali. O forse hanno gioco facile le lobby economico-finanziarie del Nord Italia, rispetto ad una sostanziale assenza di visione della classe politica. Che lo sbilanciamento degli investimenti sia fortemente discriminante nei confronti del Mezzogiorno lo si è visto a più riprese negli ultimi decenni; limitando l’attenzione al comparto ferroviario si possono citare interessanti precedenti:

 

  1. un investimento faraonico per l’Alta Velocità fra gli anni 90 e il primo decennio del nuovo secolo, dell’ordine di 100 Md €, per una linea maestra che collega solo alcune metropoli del Centro-Nord a scapito di tutto il resto del paese e del Sud in particolare. Uno degli effetti di tale politica è stato il degrado delle ferrovie regionali a livello da terzo mondo; i pendolari che si muovono quotidianamente in treno sono 3 milioni, i viaggiatori sulla lunga percorrenza sono appena 300 mila; basterebbe questo dato di domanda per affermare che sarebbe più corretto, in una logica sana di mercato, indirizzare maggiori risorse sulle ferrovie a corto e medio raggio;
  2. nel gennaio 2016 è stata presentata la “cura del ferro” dal ministro-medico Delrio, che ha pensato bene di lasciare senza cura proprio la parte più anemica d’Italia, ovvero il Mezzogiorno; un impegno di 9  Md € su un triennio di cui ben 8 Md € per le reti del Nord Italia;
  3. nel piano di sviluppo FS del 2016, solo il 14,2% delle risorse su un ammontare di 43,5 Md Md € è stato destinato al Sud per “potenziare” la direttrice Napoli-Bari. La parte più cospicua degli investimenti è finalizzata a grandi opere nel Nord Italia, opere discutibili come i valichi transalpini e la TAV padana;
  4. a settembre 2016 FS ha presentato il proprio piano industriale decennale, avallato dalle forze di governo, che prevede un investimento di ben 94 Md €, di cui 73 per infrastrutture, 14 per materiale rotabile e 7 per sviluppo tecnologico. Il piano è perfettamente in linea con il Piano di sviluppo di cui al punto precedente, ovvero discriminante nei confronti del Mezzogiorno. Sul fronte del trasporto regionale l’azienda punta a rinforzare il proprio ruolo con delle briciole (appena 4 Md €) e addirittura puntando all’acquisto di 3000 autobus.

 

Riguardo alle connessioni dei porti e delle piattaforme logistiche alla rete ferroviaria, una volta ancora ad essere privilegiati sono le strutture del Nord; eccezion fatta per un intervento di raccordo al porto di Napoli (intesa 2018 fra RFI e Autorità Portuale), il resto sembra quasi tutto pane per i denti dei porti e dei centri di interscambio merci settentrionali: Porto di Venezia Mestre, Porto di Trieste, Porto di Livorno, Interporti di Trento, Verona e Padova, sviluppo del trasporto merci su ferro in Piemonte, Lombardia e Liguria.

Da rimarcare anche un certo dinamismo dei porti ascellari del Nord in risposta ad orientamenti espansivi di matrice cinese. Il Porto di Vado Ligure è al 50% sotto controllo cinese, mentre i porti dell’Alto Adriatico hanno costituito la NAPA – North Adriatic Port Association, nell’intento di favorire il posizionamento del terminale euro-mediterraneo della Maritime Road cinese (nuova Via della Seta) a ridosso della laguna; è preventivata una piattaforma offshore al largo di Venezia in grado di accogliere navi container giganti. Il progetto, dal costo stimato di 2,2 Md €, finanziato in parte con fondi governativi (350 Mn €) dovrebbe permettere di movimentare 3 milioni di TEUs l’anno. Progetto che desta più di una preoccupazione in rapporto al sito per ragioni ambientali, per evidenti conflittualità con il traffico crocieristico e turistico che costituisce la vera ricchezza di Venezia, non ultimo per l’evidente incongruenza logistica in ragione della duplice rottura di carico (trasbordo container da nave a piattaforma e da questa alla terraferma).

Prevale purtroppo ancora la logica di sostenere i territori più densamente popolati, cosiddetti “a vocazione industriale”, più capaci di fare lobbyng, attraverso una concentrazione delle risorse su corridoi privilegiati; al Sud briciole o peggio il degrado.

E’ ormai evidente lo squilibrio nel sistema di trasporto nazionale fra regioni del Nord e regioni del Sud. A parte la maggiore estensione di autostrade e viabilità ad elevato livello di servizio, si rileva che: a fronte di 50 km di rete a doppio binario per 100 km di rete nel Nord, nel Sud se ne trovano 27; a fronte di numerosi collegamenti ferroviari tra regioni del Nord, quelli fra regioni del Sud sono rari e di scarsa qualità (ad esempio si ha una media di 12,3 Eurostar/giorno contro 1,7); a Nord operano treni ad alta velocità  (2,5 ore sulla Milano-Roma), a Sud no e, quello che è peggio, sono stati cancellati drasticamente i treni a lunga percorrenza. Solo con riferimento alla Calabria, nel biennio 2010-2011 sono stati soppressi 18 treni interregionali (Marzo 2010: 2  ICN; Dicembre 2010: 1  IC, 1 ICN, 2 EXP, 2 EXP cuccette; Dicembre 2011:  1 IC, 1 ICN, 3 EXP, 5 EXP cuccette). L’effetto delle politiche perseguite negli ultimi decenni è desolante: 150 treni AV fra Roma e Bologna; numerosi TAV fra le metropoli del Centro-Nord e il vuoto altrove; distanze tra le città del Nord sensibilmente più corte rispetto a quelle del Sud e delle Isole, frammentazione e impoverimento dei servizi interregionali che penalizzano in modo pesante il Mezzogiorno.

RFI sta smantellando, con la complicità delle forze di governo, centinaia di km di binari nel Sud Italia. Nel mentre in Germania la rete capillare su ferro torna ad essere recuperata e valorizzata, in Italia si opera un sistematico, silenzioso, depauperamento del patrimonio, con conseguente arretramento del sistema ferroviario e del sistema economico. In un decennio sono stati smantellati decine di nodi cargo nel Mezzogiorno, ivi compresi i servizi di treni con auto al seguito, incentivando il merci su gomma in luogo di quello su ferro. Gli interporti esistenti sono in caduta libera e alcuni non hanno mai visto la luce come nel caso di Gioia Tauro. Una bella e netta contraddizione  rispetto agli obiettivi dichiarati di eco-sostenibilità del trasporto. In compenso il divario fra Nord e Sud ha raggiunto livelli preoccupanti e le previsioni sociali e demografiche sul lungo termine non sono affatto confortanti.

A fine Gennaio 2018 il Ministro Delrio ha emanato un comunicato da cui si rileva che «La recente riforma della portualità e della logistica ha dato vita a un sistema portuale nazionale riorganizzato, semplificato e di maggiore efficienza. Un assetto strategico a supporto del ruolo dell’Italia come porta dell’Europa sul Mediterraneo, facilitando il trasporto di merci e passeggeri e creando occupazione e sviluppo economico…Le 15 nuove Autorità di Sistema Portuale sono i nodi di una rete logistica che integra trasporto marittimo, terrestre e aereo, in continuità con i Corridoi TEN-T che collegano l’Italia all’Europa, dal Baltico all’Atlantico, e alle reti del Mediterraneo. I porti italiani sono ora al centro di una rete di connessioni in grado di rendere più efficiente il sistema dei trasporti al servizio di imprese e passeggeri, coniugando la competitività con la dimensione di raccordo con i territori ed i mercati locali». Le nuove Autorità dovrebbero gestire in modo coordinato la realizzazione delle nuove opere infrastrutturali e l’ammontare annuo di investimenti è dell’ordine di 450 Mn €/anno. In realtà l’attenzione e le risorse sono concentrate sui più robusti sistemi portuali e interporti del Nord, mentre quelli del Sud appaiono lasciati alla deriva. Basta osservare la decadenza dei porti container di Taranto e Cagliari, lo stallo del transhipment a Gioia Tauro, o la sopravvivenza al limite di interporti come Catania Bicocca, Termini Imerese, Bari; l’assenza sostanziale di forme di sostegno al trasporto intermodale mare-ferro nei porti meridionali; la mancanza di una regìa unitaria che guidi le scelte ed eviti gli errori di programmazione.

 

Al porto di Gioia Tauro rimane appeso un filo di speranza legato ad una ZES – Zona Economica Speciale tutta da sperimentare (dopo una trafila burocratica alquanto lunga) e alla ripresa dell’esercizio ferroviario affidata ad una compagnia specializzata, al termine della realizzazione del nuovo gateway ferroviario. Il porto calabrese  è un gioiello fatto arenare da competitor e politici poco lungimiranti, che non ha trovato la considerazione che meritava, ed oggi rimane al palo senza guida autorevole (Unica autorità di sistema ancora senza un Presidente, a tre anni dalla riforma). Porto ed interporto di Gioia Tauro potrebbero giocare un ruolo rilevante sulla scena internazionale; e la Calabria intera potrebbe assumere il ruolo di terminale continentale per la Via della Seta e, forte della sua centralità mediterranea, della sua dotazione portuale affatto trascurabile, del bagaglio di innovazione e cultura logistica sedimentato negli ultimi 20 anni.

Una valida strategia di sviluppo potrebbe fondarsi sulla valorizzazione dell’itinerario ferroviario ionico-adriatico, cucendo in serie porti di una certa levatura notevole (Gioia Tauro, Crotone, Corigliano, Taranto, Bari) e offrendo costi di transito alle merci competitivi rispetto al transito sulle grandi navi lungo il Mare Adriatico, costrette a fare la spola inefficace e affatto produttiva fino  alla laguna veneta. La proposta potrebbe forse interessare anche gli investitori cinesi. Si tratta di osare e di pretendere anche e finalmente un diverso atteggiamento delle forze di governo e del management FS, in un’ottica di sano meridionalismo utile a tutto il sistema paese