Calabria: pari dignità territoriale e legalità come antidoto ad un sistema malato

I paradossi di una terra che ancora utilizza due pesi e due misure tra l’est e l’ovest della stessa foraggiando diseconomie ed illegalità

Una Regione che non rispetta, in ogni sua area territoriale, il principio di giusta rappresentanza, fornitura di servizi ed equa distribuzione della risorse, è una Regione che ama generare figli e figliastri. 

 

Tale scriteriata ed oltremodo iniqua partizione ha tra le tante manchevolezze quella di foraggiare un atteggiamento arrendevole e lascivo nelle popolazioni affette da cronico abbandono. Si perde fiducia nelle Istituzioni, rilasciandosi a comportamenti che, alla lunga, generano disincanto verso la cosa pubblica con conseguente avvicinamento alla illegalità ed alla sciocca furbizia camuffata d’intraprendenza, come valvola di sfogo e via d’uscita da un girone infernale. 

 

E chi doveva dircelo dopo decenni di ingiustizie nazionali, tra nord e sud, sommare anche la spaccatura voluta da una  Regione,  matrigna alle problematiche territoriali. Una Calabria divisa, letteralmente, in due. Un versante tirrenico infrastrutturato, quello jonico, tagliato fuori da tutto, discriminato, senza regole, visioni e prospettive ad un auspicato sviluppo, al punto che Crotoniatide e Sibaritide possano essere definite territori “isolani” più che isolati. 

 

Una politica che fa da muro di gomma, dove sembra tutto inutile e si lascia campo libero e terreno fertile al malaffare. Tutto ciò sarà bastevole a comprendere, pur senza giustificare, un andazzo teso alla rassegnazione. 

 

Oggi chi vive quello spicchio di territorio tra la Piana di Sibari ed il Lacinio, entroterra compreso, si ritrova un costo della vita maggiore con un minor riconoscimento in termini di servizi. Un popolo ormai incapace di trasformare la protesta in proposta ed una classe di Rappresentanza, stratificata ad ogni livello, dall’amministrativo al politico, sorda alle istanze, pertanto incapace d’esprimere concetti che possano rappresentare il grido di dolore della cittadinanza. Un grido che da sibilo lentamente si trasforma in fievole vagito, al punto che l’orgoglio si dissipa e la dignità diventa un termine, per lo più, sconosciuto. In questo clima si instilla il seme della rassegnazione, avamposto alla diaspora di un popolo che giocoforza o si allinea ad un sistema malato e deviato oppure dovrà valutare nuovi lidi a cui approdare. Il paradosso, si comprenderà, non è solo rappresentato da una demografia sempre più scarna e maculata quanto intriso a rabbia pensando che le fuggitive menti contribuiranno a incrementare PIL e benessere altrove.

 

In tale contesto, poco surreale e molto fedele alle effettive condizioni di vita, allignano le mafie che si annidano come sanguisughe a colmare il gap lasciato dalle Istituzioni. Di contro, come aggravante, il fenomeno è sottovaluto e snobbato dalla politica. Il malaffare calabrese, grazie alla complicità dei poteri forti è annidato nelle strutture pubbliche, amministrate secondo dettami clientelari e centralisti e non sulla base di giuste regole d’equità. 

 

Se non ripartiremo da un rinnovato concetto di legalità, la Calabria non sarà mai libera! Sarà necessario aggregare forze sane, fornendo nuova linfa anche al lavoro del Procuratore Gratteri, più volte isolato da pezzi di Stato corrotti che tentano di strangolare importanti inchieste giudiziarie. I giovani, dovranno fare la loro parte, non possono restare a guardare. Gli indicatori riguardanti le nuove generazioni sono allarmanti.  Dovrà essere imperativo creare i presupposti per offrire loro spazio e futuro liberi dalla tentazione criminale. 

 

Bisognerà inquadrare il territorio sotto altre angolature, perché quelle sperimentate finora hanno dimostrato che il “Sistema Calabria” è un sistema malato. Un regionalismo che in 50 anni ha palesato le sue deficienze ed i suoi limiti nella perversa pratica dei centralismi. 

 

La Calabria dovrà progredire in maniera uniforme e non a velocità differziate. I suoi cittadini non possono più scomporsi in due categorie: tutti hanno gli stessi doveri, gli stessi diritti e la stessa dignità. 

 

Si abbia il coraggio di trasferire la rabbia da una fredda tastiera alla pacifica e legittima manifestazione. E la politica rifugga i salotti buoni ritornando ad inverare il concetto di “πόλις”, massima espressione di dedizione, amore e servizio al territorio. 

Iginio Pingitore 

Domenico Mazza