“Sussurri dall’altra sponda”. Quei pensieri che ci accompagnano nella quotidianità

Un breviario, un viaggio, un monito a se stesso tra suono, colpa, desiderio e amore. Così definisce la sua prima opera “Sussurri dall’altra sponda”, il giovane poeta Guido Rocco Garibaldi, classe 1995, nato a Marsicovetere (PZ) ma che attualmente vive a Montesano, sulla Marcellana, piccola realtà bucolica della provincia salernitana sul più ampio sfondo del Vallo di Diano, ai confini con la Basilicata, dove sta portando a termine gli studi per conseguire la laurea in Lettere. Già il titolo racconta molto dell’opera, fresca di stampa nella collana “I Diamanti della Poesia” dell’Aletti editore. «Il suono sibilante – spiega l’autore – richiama alla mente non solo lo scrosciare delle acque in movimento, emblema del panta rei, o alla forza e all’impetuosità del vento che soffia, ma anche al sibilare tipico dei serpenti, che per allegoria io associo a tutta quella categoria di “pensieri intrusivi” che ci accompagnano o ci destabilizzano nello svolgimento della quotidianità. Altro motivo, poi, della scelta di tale titolo sta nel termine “sponda”: trovarsi al di qua o al di là di un certo limite, di una certa soglia, oltrepassata la quale sta il confronto con se stessi, e da questo alla consapevolezza di sé, nel bene e nel male».

«Immergersi nella dimensione poetica di Guido Rocco Garibaldi – scrive Alfredo Rapetti Mogol, figlio del noto paroliere autore delle bellissime canzoni di Lucio Battisti – è come guardare a testa in giù una volta celeste capovolta, illuminata da mille galassie, miliardi di frammenti colorati di stelle di forma, lucentezza e dimensione diversa dalle quali magicamente scaturisce ad un tratto un meraviglioso e inatteso disegno che più lo si guarda più si definisce, dove ogni elemento trova esattamente il suo posto creando un’epifania cromatica inedita ed eccezionalmente composita».

I modelli di sapere che hanno fatto da stella polare nella scrittura di questa raccolta di liriche sono le “Confessiones” agostiniane, per il loro carattere di breviario ma anche di diario, scevro da ogni tipo di riferimento religioso ma carico di significato prima morale e poi etico, di continuo dialogo con il proprio sé su quell’altra sponda, in un eterno incontro-scontro tra bene e male, tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, con particolare attenzione ai valori e ai sentimenti legati alla memoria, al suono, alla colpa, al desiderio e all’amore. Le poesie sono arricchite da illustrazioni o, per meglio dire, “rielaborazioni artistiche”. «In sostanza – afferma il poeta – queste non fanno altro che dare forza visiva e a ciò che le corrispettive liriche possono esprimere, sempre fermo restando sul principio di libera interpretazione, dove ognuno, sia nella parte lirica sia nel suo corrispettivo artistico, può leggervi ciò che sente o che vuole».

Gli elementi stilistici di queste liriche non vanno a inserirsi in un genere ben definito, ma sono la somma di un’eterogeneità di elementi desunti dalle più disparate poetiche, per questo l’autore definisce la sua scrittura come «introspettiva, personale e analitica». Tra le diverse poesie, una si intitola “Monito a me stesso”, ma in riferimento ai suoi lettori Guido Rocco Garibaldi afferma: «Posso dir loro ciò che questo lavoro ha fatto fiorire in me: se si sceglie di abbracciare se stessi totalmente è necessario anche scendere all’inferno e, per giungere a questo, basta lasciarsi andare, anche solo con un foglio e una penna come compagni di viaggio».

Federica Grisolia

(Vincenzo La Camera – Agenzia di Comunicazione)